Gorgoroth – “Antichrist” (1996)

Artist: Gorgoroth
Title: Antichrist
Label: Malicious Records
Year: 1996
Genre: Black Metal
Country: Norvegia

Tracklist:
1. “En Stram Lukt Av Kristent Blod”
2. “Bergtrollets Hevn”
3. “Gorgoroth”
4. “Possessed (By Satan)”
5. “Heavens Fall”
6. “Sorg”

Un titolo a dir poco esplicativo sovrapposto all’irrinunciabile crocifisso rovesciato, la cui foto è manualmente fotocopiata in bianco e nero per essere incollata in copertina, accompagnati da un altezzoso genitivo sassone a mò di film d’autore e da una pomposa epigrafe entrata a forza nell’immaginario collettivo: sicuramente ad Infernus non è mai mancata la considerazione di sé e dei suoi sforzi creativi, tanto da fare propria la ben nota etichetta True Norwegian Black Metal pur essendo a tutti gli effetti un estraneo al nucleo centrale di band, individui e strumentisti prestati al verbo nero e divenuti poi i portabandiera del classico sound norreno nel mondo, tanto per cause geografiche quanto cronologiche.
Eppure, qualora se ne analizzasse la carriera nella sua totalità, sarebbe assai difficile trovare un gruppo che abbia incarnato fino in fondo meglio dei Gorgoroth gli alti e i bassi del genere tutto nella sua accezione più prettamente nazionale, muovendosi tra le davvero incontestabili, seminali vette iniziali di personalità ovunque vi si guardasse e le crisi di identità seguite come ombra al sorgere del nuovo millennio, fino all’arenarsi nei cliché a tutto tondo di cui la Norvegia dopo un ventennio buono ancora così tanto fatica a liberarsi: troppo facile quindi pontificare venticinque anni più tardi sulle miriadi di scelte pur sbagliate da parte del mastermind, dalle sperimentazioni talvolta sin troppo audaci alle sfortunate scelte in fatto di nuovi ingressi in una formazione fin da principio tutto tranne che stabile (o tale, perfino), ma al contempo assolutamente necessario si delinea il riconoscere al dibattuto act di Bergen quel compito niente affatto scontato di cordone ombelicale che tiene concettualmente insieme una scena musicale camaleontica come poche altre nel circuito Metal.

Il logo della band

Indicare proprio nei Gorgoroth una sorta di cartina di tornasole per una terra che tutt’ora regala album strepitosi a firma Enslaved, Vreid e Kampfar suona del resto innegabilmente come un enorme controsenso, ma a prescindere dall’accezione meramente qualitativa tale affermazione è convalidata in primis da un’insistente attenzione mediatica che, come accaduto col genere in toto, ha spesso e volentieri finito col sostituirsi all’ispirazione compositiva – ed in secundis dall’accennata frequenza di cambi in line-up, i quali possono aver con evidenza influenzato gli esiti artistici del gruppo dopo i primi tre album più di quanto il suo padre padrone sarà mai disposto ad ammettere: avvalersi di alcuni dei migliori interpreti della scuola norvegese durante la sua età dell’oro ha consentito ad Infernus di realizzare dei piccoli capolavori fatti e finiti pur senza stravolgere certi canoni sonori nel 1996 già ampiamente stabiliti, immergendoli in una personalità che avrebbe fatto scuola dalle retrovie, così come, ironicamente, l’inaridirsi del panorama circostante lo ha poi condannato ad alcune tra le peggiori prove in studio mai uscite dalla rinomata terra dei fiordi. Nonostante dunque la riservatezza e lo strapotere del chitarrista fondatore, per i Gorgoroth è sempre stato fondamentale essere immersi in un contesto fiorente per poter dare il proprio meglio, anche grazie a degli innesti di lusso a cui poter attingere; ed “Antichrist”, secondo full-length di un progetto già a metà anni ’90 tormentato dalla proverbiale instabilità della formazione, riesce a conciliare l’usato sicuro rappresentato dal Frost ancora fresco di Nemesis Divina” con la scommessa vinta nella figura dello sconosciuto Pest, chiamato nella sola “Possessed (By Satan)” a coprire le spalle al rodato ma a quel punto defezionario Hat (incamminatosi verso la porta d’uscita con Samoth, che ufficialmente abbandonati sia i Satyricon di “The Shadowthrone” che gli Arcturus di “Constellation” nel 1995 lascia anche il basso prestato in “Pentagram” al plettro dello stesso Tiegs) giusto un anno prima della consacrazione nel sottobosco scandinavo dei suoi Obtained Enslavement col gioiellino sinfonico “Witchcraft”.

La band

Una volta accasatisi presso Malicious Records, etichetta tedesca dal gran fiuto per le sensazioni norrene come dimostrato anche solo due giorni dopo (in seguito al non solo “Kronet Til Konge”, bensì in una linea che in soli tre anni parte dagli Strid di genesi ed epitaffio per finire con “Mellom Skogkledde Aaser”, passando per l’omonimo Borknagar e “Black Thrash Attack”), le tensioni culminate col risaputo abbandono dell’ottimo vocalist originale nel bel mezzo delle incisioni non impediscono alla rinnovata band di confezionare un’opera seconda dal valore perfettamente in linea col grandioso esordio “Pentagram”, la cui monumentale chiusura su “Måneskyggens Slave” viene ripresa nell’analoga melodia circolare che esplode a metà di “Bergtrollets Hevn”; molto meno presente sin dall’acclamato seguito del 1997, “Under The Sign Of Hell”, il gusto di Infernus nel calare dei giri armonici ficcanti nel tagliente gain della classica chitarra Black Metal (come accade nell’irripetibile sforzo strumentale d’intensità crescente “Heavens Fall”) rimane il tratto distintivo che più di tutti ne ha reso i primi due album un ascolto centrale per capire tutte le potenzialità del songwriting entro i confini di uno stile solo in apparenza limitativo (si pensi ai motivi Folk incastonati con grande finezza nel dialogo qua e là tra sei e quattro corde fin dal 1994, culminanti grazie al supporto ritmico di un già pratico Frost nell’ingresso alla seconda metà dell’omonimo brano), oltre che il fattore la cui assenza ha influito in maniera preponderante sui successivi flop a nome Gorgoroth. Ciononostante “Antichrist” non vuole essere una replica del debutto con cinque minuti in meno di running time probabilmente dovuti pure alla travagliata genesi, sicché alla dinamica invidiabile dei brani inclusi nel predecessore viene alternata pure una certa tendenza alla dilatazione della durata e delle partiture, terreno successivamente lasciato inesplorato e che tuttavia regala alcuni dei migliori frutti mai colti dai norvegesi in tre decadi di attività: l’eponima “Gorgoroth” è un cesello di linee quasi ipnotiche ed intrecciate a meraviglia, coi rintocchi del basso che fanno capolino nella spessa nebbia di sei corde ronzanti, mentre “Sorg” tributa la nordica disperazione dei Candlemass in un riuscitissimo esperimento doomish anch’esso suggellato dall’inaspettata bravura di Hat nelle storte declamazioni in pulito; sebbene ancorati all’impatto catchy prediletto dal compositore principale (non serve nemmeno tirare fuori dal cilindro l’esempio di “Possessed”) piuttosto che al lavoro atmosferico propriamente detto, i tenebrosi paesaggi tolkieniani richiamati dal monicker non gli sono infatti mai stati così vicini come nei venticinque minuti nemmeno pieni del suo secondo capitolo su full-length.

Prima dei concerti in Polonia pensati su misura per i tabloid, tanto prima in ogni senso da sembrare vi sia quasi un’eternità intera di mezzo, prima delle pose supercattive nelle foto di Peter Beste e prima di Gaahl che sorseggia vino rosso esprimendosi in monosillabi, “Antichrist” termina in pompa magna un dittico di estremo talento – non certo di enorme portata storica in sé, ma d’altronde leggendario esempio massimo di come si possa, oggi come venticinque anni fa, suonare personali senza tradire di un’oncia i dettami di un panorama fiorente, febbricitante, che all’epoca della sua uscita è in piena maturazione. Se il ritardo con cui l’ensemble di colui che all’anagrafe fa Roger Tiegs si è affermato nell’ambiente estremo è stata con ogni buona probabilità una delle ragioni del quasi comico complesso di Napoleone tradito dall’axeman a partire dalla scarna copertina, il 1996 rappresenta comunque un’annata irripetibile per l’intuito sonoro di Infernus, stavolta coltivato non tanto dai rinomati comprimari quanto dal clima rigoglioso ancora imperante in Norvegia: del resto sia Frost che Pest si faranno risentire in prove successive ai loro momentanei forfait senza riuscire ad innalzare granché il livello generale (il primo sul tremendo “Ad Majorem Sathanas Gloriam” ed il secondo nel comeback più ideologico che artistico “Quantos Possunt Ad Satanitatem Trahunt”).
Forse un poco contrariati da un minutaggio inferiore alla soglia solamente psicologica della mezz’ora, i fan applaudiranno invece i Gorgoroth con addirittura maggior forza una volta rilasciato lo spartiacque “Under The Sign Of Hell”, episodio dal già minor carattere ma comunque attraversato dagli stessi guizzi melodici di metà decennio; li si consideri semplici gusti personali oppure un’allucinazione collettiva, quanto messo su disco fino e con “Antichrist” rimane forse la summa irripetibile, di stile come d’insostituibile ispirazione giovanile, di una creatura di lì in avanti alla continua e mai interrotta ricerca di sé stessa.

Michele “Ordog” Finelli

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